PARTITO COMUNISTA ITALIANO
(Pcd'I, 1921-1943; Pci, 1943-1990). Fu fondato
come sezione italiana della terza Internazionale col nome di Partito comunista
d'Italia (Pcd'I) il 21 gennaio 1921 con una scissione al congresso socialista di
Livorno, per iniziativa di alcune correnti di sinistra del Psi, essenzialmente
quella napoletana di
Amadeo Bordiga
e quella torinese dell'"Ordine nuovo" di
Antonio
Gramsci. Dopo i primi anni della segreteria Bordiga, il nuovo gruppo
dirigente raccolto attorno a Gramsci delineò (Tesi
di Lione, 1925) i tratti distintivi del partito. L'avvento del regime
fascista costrinse il Pcd'I a una lunga clandestinità e ne colpì duramente
dirigenti e militanti. Nonostante la repressione riuscì a sopravvivere e,
assunto il nome di Partito comunista italiano in seguito allo scioglimento del
Comintern (1943), a diventare il nerbo centrale della Resistenza, attuando
un'unità d'azione con le forze socialiste e cattoliche nel comune fronte
antifascista (vedi
Cln).
Grazie a ciò il Pci divenne il più forte partito della sinistra con quasi due
milioni d'iscritti. Nel dopoguerra approfondì il suo radicamento tra i settori
operai e popolari come principale forza d'opposizione politica e sociale, in
particolare influenzando le scelte della
Cgil.
Contemporaneamente il gruppo dirigente, guidato da
Palmiro
Togliatti, sviluppò una nuova strategia, che sintonizzava l'attività del
partito con le caratteristiche delle democrazie occidentali: le riforme
politiche e sociali diventavano l'asse portante della via italiana al
socialismo. Questa strategia, proseguita dalle segreterie di Luigi Longo
(1964-1972), Enrico Berlinguer (1972-1984) e Alessandro Natta (1984-1988),
allentò i legami tra il Pci e il Pcus, contribuendo ad allargare l'influenza
elettorale del partito (nel 1976 culminata nel 34,4% dei voti). Negli anni
sessanta nel partito si sviluppò una nuova dialettica politica che rompeva il
monolitismo di stampo staliniano. In particolare, da un lato si aggregava una
corrente "riformista" attorno a
Giorgio
Amendola; dall'altro Pietro Ingrao catalizzava la "sinistra comunista", al
cui interno nacque il gruppo dissidente della rivista "il manifesto" che nel
1969 fu espulso dal partito. Negli anni settanta, sotto la guida di Enrico
Berlinguer, il Pci si propose come forza di governo: prima perseguendo
un'alleanza con la Dc (vedi
compromesso storico), poi con l'appoggio esterno a governi di "unità
nazionale". Il fallimento di questi tentativi, ancor prima del crollo dei regimi
comunisti, determinò negli anni ottanta una profonda messa in discussione
dell'identità del partito, allora guidato da Alessandro Natta. Con Achille
Occhetto come segretario (1988-1990) il Pci tenne il suo ultimo congresso (1990)
decidendo di dar vita a una nuova formazione politica (Partito democratico della
sinistra che in seguito, nel 1998, si sarebbe sciolto all'interno di una nuova
formazione politica progressista, i Democratici di Sinistra) nella quale
confluirono la maggioranza dei dirigenti e militanti, mentre una minoranza,
detta della Rifondazione comunista, tentò di far sopravvivere un partito
comunista.
G. Polo